Azione Francescana

AttualitàGiustizia e Pace

Dalla violenza alla speranza. Una risonanza del week-end di GPIC sulla nonviolenza

Credo che sia Francesco d’Assisi, che Gesù di Nazareth, non abbiano mai pronunciato la parola “nonviolenza”. E pure, è un aspetto che li accomuna, sul quale non mi ero mai soffermato, è che entrambi sono vissuti in un tempo segnato dalla violenza. Entrambi ne hanno fatto esperienza e hanno lasciato un sentiero di speranza nel nostro mondo oggi segnato da mobbing, stalking o da ogni violenza fisica, psicologica, di genere, sessuale, assistita, economica. Quale fu la strategia utilizzata da Francesco per portare la pace e per liberare gli uomini da quei sentimenti e da quelle pratiche che li spingevano all’odio e alla violenza? Guidato da una fede retta, da una speranza certa e da una carità perfetta, ha sposato la dinamica della nonviolenza intesa come forza creativa e integrativa.

Provocato da fra Pietro Maranesi, vorrei prendere in considerazione due eventi che potrebbero aiutarci a scorgere delle linee di azione praticate dal Poverello di Assisi: la leggenda dei “ladroni di Borgo San Sepolcro” (CA 115; FF: 1669) e quella di “frate lupo” (Fior XXI; FF: 1852). Diversi ladroni erano nascosti nelle folte selve, in attesa di assaltare i malcapitati passanti. Spinti dalla fame venivano a domandare del pane ai frati. Commossi dal loro bisogno, i frati li accontentano ma non senza rimorsi: «Non è bene dare l’elemosina a costoro che sono dei ladroni e fanno tanto male alla gente». Presentata la questione a Francesco, egli suggerisce dei gradi di avvicinamento e di liberazione dei ladroni: 1) i frati portano del buon pane e del buon vino e gridano: «Fratelli ladroni, venite da noi! Siamo i frati e vi portiamo del buon pane e del buon vino». I ladroni si avvicinano, serviti dai frati mangiano; 2) solo allora gli parlano di Dio, ma senza chiedere loro di abbandonare la vita da ladroni; sarebbe pretendere troppo e non ottenere nulla; chiedono ciò che possono fare: rubando, non picchino e non facciano del male a nessuno; 3) il giorno dopo attuano lo stesso rito di avvicinamento, ma con un contenuto ancor più ricco, con uova e formaggio; 4) i ladroni mangiano e accondiscendono a una richiesta maggiore: conviene abbandonare quella vita di stenti e di fame; a chi lo serve, Dio dà il necessario per il corpo e la salvezza dell’anima; 5) a causa della bontà e della cordialità dei frati, i ladroni si convertono e alcuni di loro si fecero poi frati.

Altro episodio interessante è l’incontro tra Francesco e il lupo di Gubbio, narrato nei Fioretti. Prendendo in considerazione questo racconto, allontanandoci da un’interpretazione tradizionale dell’evento miracoloso, anche qui possiamo cogliere l’approccio profetico nonviolento attuato da Francesco che può gettare luce e speranza sulle nostre sfide quotidiane.
Siamo di fronte a un racconto non storico, bensì parabolico, e forse il lupo impersonava un brigante la cui presenza terrorizzava la gente. Ci troviamo dinanzi al problema del “diverso” che bussa alle nostre porte creando sospetto e opposizione, perché percepito come pericolo per la nostra tranquillità sociale e i nostri interessi economici.
Francesco, animato da un duplice desiderio, cioè quello di addomesticare sia il lupo che la gente di Gubbio, disarmato, prende la strada del bosco. Egli chiude le fauci del lupo con il linguaggio della fraternità: «Fratello lupo, vieni qui!».

Francesco intendeva dirgli “Tu non sei solamente lupo, tu sei anche mio fratello; siamo legati da una stessa origine, da una stessa dignità”. Il Santo era riuscito a creare con l’altro le condizioni preliminari per una prossimità che costituiva la base per un dialogo fiducioso. Ecco che solo in un secondo momento Francesco gli pone dinanzi la sua situazione di «degno della forca, ladrone e pessimo omicida», così che arriva a suscitare nel lupo una rinnovata coscienza della sua situazione, per spingerlo non al senso di colpa ma a desiderare una possibilità nuova. Franceso arriva a fargli credere e sperare una vita nuova e a fargli desiderare l’impossibile.

Dietro promessa di ricevere il necessario per vivere, il lupo promette anche di non far più del male a nessuno. Attraverso la via della bontà, della mansuetudine, della fiducia, Francesco comprende i bisogni del lupo fino a convertirlo in fratello, in un essere nuovo. La strategia di Francesco verso i cittadini di Gubbio, armati e impauriti, è la stessa. Non dà loro ragione ma chiede che si convertano, perché la paura percepita era causata dai loro peccati. Il lupo metteva solo in luce le conseguenze di questo loro stile di vita. Egli non era la causa ma semplicemente lo specchio che rivelava il loro egoismo. I cittadini di Gubbio erano stati invitati da Francesco a rivedere il proprio stile di vita, ad alzare lo sguardo dal loro piatto e ad aggiungere un nuovo posto a tavola per il lupo.

Francesco, fratello minore, è un uomo nonviolento che sa riconoscere le situazioni conflittuali. Le fa sue e le reinterpreta alla luce del Vangelo. Mentre il più delle volte noi non vediamo altro che vizio e cattiveria, il Poverello scopre immediatamente una qualche pena segreta, un fondo ignorato di bontà, insomma una creatura da salvare. Grazie Francesco, perché ci offri la possibilità di riappropriarci del sogno di Dio: costruire un mondo più umano e meno violento.

Di Antonio Lembo OFM

Dalla violenza alla speranza. Una risonanza del week-end di GPIC sulla nonviolenza

Credo che sia Francesco d’Assisi, che Gesù di Nazareth, non abbiano mai pronunciato la parola “nonviolenza”. E pure, è un aspetto che li accomuna, sul quale non mi ero mai soffermato, è che entrambi sono vissuti in un tempo segnato dalla violenza. Entrambi ne hanno fatto esperienza e hanno lasciato un sentiero di speranza nel nostro mondo oggi segnato da mobbing, stalking o da ogni violenza fisica, psicologica, di genere, sessuale, assistita, economica. Quale fu la strategia utilizzata da Francesco per portare la pace e per liberare gli uomini da quei sentimenti e da quelle pratiche che li spingevano all’odio e alla violenza? Guidato da una fede retta, da una speranza certa e da una carità perfetta, ha sposato la dinamica della nonviolenza intesa come forza creativa e integrativa.

Provocato da fra Pietro Maranesi, vorrei prendere in considerazione due eventi che potrebbero aiutarci a scorgere delle linee di azione praticate dal Poverello di Assisi: la leggenda dei “ladroni di Borgo San Sepolcro” (CA 115; FF: 1669) e quella di “frate lupo” (Fior XXI; FF: 1852). Diversi ladroni erano nascosti nelle folte selve, in attesa di assaltare i malcapitati passanti. Spinti dalla fame venivano a domandare del pane ai frati. Commossi dal loro bisogno, i frati li accontentano ma non senza rimorsi: «Non è bene dare l’elemosina a costoro che sono dei ladroni e fanno tanto male alla gente». Presentata la questione a Francesco, egli suggerisce dei gradi di avvicinamento e di liberazione dei ladroni: 1) i frati portano del buon pane e del buon vino e gridano: «Fratelli ladroni, venite da noi! Siamo i frati e vi portiamo del buon pane e del buon vino». I ladroni si avvicinano, serviti dai frati mangiano; 2) solo allora gli parlano di Dio, ma senza chiedere loro di abbandonare la vita da ladroni; sarebbe pretendere troppo e non ottenere nulla; chiedono ciò che possono fare: rubando, non picchino e non facciano del male a nessuno; 3) il giorno dopo attuano lo stesso rito di avvicinamento, ma con un contenuto ancor più ricco, con uova e formaggio; 4) i ladroni mangiano e accondiscendono a una richiesta maggiore: conviene abbandonare quella vita di stenti e di fame; a chi lo serve, Dio dà il necessario per il corpo e la salvezza dell’anima; 5) a causa della bontà e della cordialità dei frati, i ladroni si convertono e alcuni di loro si fecero poi frati.

Altro episodio interessante è l’incontro tra Francesco e il lupo di Gubbio, narrato nei Fioretti. Prendendo in considerazione questo racconto, allontanandoci da un’interpretazione tradizionale dell’evento miracoloso, anche qui possiamo cogliere l’approccio profetico nonviolento attuato da Francesco che può gettare luce e speranza sulle nostre sfide quotidiane.
Siamo di fronte a un racconto non storico, bensì parabolico, e forse il lupo impersonava un brigante la cui presenza terrorizzava la gente. Ci troviamo dinanzi al problema del “diverso” che bussa alle nostre porte creando sospetto e opposizione, perché percepito come pericolo per la nostra tranquillità sociale e i nostri interessi economici.
Francesco, animato da un duplice desiderio, cioè quello di addomesticare sia il lupo che la gente di Gubbio, disarmato, prende la strada del bosco. Egli chiude le fauci del lupo con il linguaggio della fraternità: «Fratello lupo, vieni qui!».

Francesco intendeva dirgli “Tu non sei solamente lupo, tu sei anche mio fratello; siamo legati da una stessa origine, da una stessa dignità”. Il Santo era riuscito a creare con l’altro le condizioni preliminari per una prossimità che costituiva la base per un dialogo fiducioso. Ecco che solo in un secondo momento Francesco gli pone dinanzi la sua situazione di «degno della forca, ladrone e pessimo omicida», così che arriva a suscitare nel lupo una rinnovata coscienza della sua situazione, per spingerlo non al senso di colpa ma a desiderare una possibilità nuova. Franceso arriva a fargli credere e sperare una vita nuova e a fargli desiderare l’impossibile.

Dietro promessa di ricevere il necessario per vivere, il lupo promette anche di non far più del male a nessuno. Attraverso la via della bontà, della mansuetudine, della fiducia, Francesco comprende i bisogni del lupo fino a convertirlo in fratello, in un essere nuovo. La strategia di Francesco verso i cittadini di Gubbio, armati e impauriti, è la stessa. Non dà loro ragione ma chiede che si convertano, perché la paura percepita era causata dai loro peccati. Il lupo metteva solo in luce le conseguenze di questo loro stile di vita. Egli non era la causa ma semplicemente lo specchio che rivelava il loro egoismo. I cittadini di Gubbio erano stati invitati da Francesco a rivedere il proprio stile di vita, ad alzare lo sguardo dal loro piatto e ad aggiungere un nuovo posto a tavola per il lupo.

Francesco, fratello minore, è un uomo nonviolento che sa riconoscere le situazioni conflittuali. Le fa sue e le reinterpreta alla luce del Vangelo. Mentre il più delle volte noi non vediamo altro che vizio e cattiveria, il Poverello scopre immediatamente una qualche pena segreta, un fondo ignorato di bontà, insomma una creatura da salvare. Grazie Francesco, perché ci offri la possibilità di riappropriarci del sogno di Dio: costruire un mondo più umano e meno violento.

Di Antonio Lembo OFM

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