Azione Francescana

Francescanesimo

Francesco e la pace

Un episodio della vita di Francesco ce lo mostra in azione come operatore di pace: si tratta del suo intervento per ristabilire la pace tra il vescovo e il podestà di Assisi, che viene narrato dalla Compilazione di Assisi n. 84, detta anche Legenda Perugina n. 44. Le due maggiori autorità della città erano entrate in un pesante contrasto, e Francesco, che ormai giaceva malato senza potersi muovere “fu preso da pietà per loro, soprattutto perché nessun ecclesiastico o secolare si interessava di ristabilire tra i due la pace e la concordia”. Interessante notare che Francesco si stupisce dell’inerzia dei suoi concittadini: e quanto si stupirebbe di noi, che di fronte a tante guerre e contrasti in atto nel nostro mondo, ai livelli internazionali come a quelli familiari o sociali, ce ne restiamo troppo tranquilli, senza far nulla!

Sentendo dunque l’urgenza di agire, Francesco compone una nuova strofa da aggiungere a quel Cantico di frate sole, che egli aveva da poco composto. Si tratta della strofa che parla del perdono e dell’infermità: quel perdono che i due dovevano offrirsi e quell’infermità che Francesco stava soffrendo in quegli ultimi mesi di vita. Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore e sostengo infirmitate e tribulazione. Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace, ka da te, Altissimo, sirano incoronati.

Subito, Francesco fa chiamare i suoi frati perché invitino presso di lui il podestà e il vescovo e a voci spiegate cantino loro il Cantico, con l’aggiunta della nuova strofa. L’antica narrazione riporta anche le parole di Francesco, nell’invitare i suoi fratelli a fare quell’invito: “Ho fiducia nel Signore che renderà umili i loro cuori, e faranno pace e torneranno all’amicizia e all’affetto di prima”. È la fede nel Signore, che può smuovere anche i cuori più induriti, a guidare Francesco: perché solo dal Signore viene il dono della pace. Conosciamo tutti la conclusione del racconto: i due contendenti si perdonano ed un abbraccio pubblico e sincero suggella la riconciliazione avvenuta.

A partire da questo episodio possiamo fare qualche considerazione sul metodo usato da Francesco per riportare la pace in una situazione di conflitto: la prima cosa che colpisce è che egli non ritiene di doversi occupare delle questioni che opponevano i due. Dal racconto noi non sappiamo nemmeno perché il vescovo e il podestà stavano litigando; possiamo pensare che fossero questioni economiche, o di potere, come spesso capitava, e capita anche oggi. Certamente Francesco non pensa che il suo compito di riconciliatore debba passare attraverso la risoluzione dei motivi di conflitto tra i due e si guarda bene dall’assumere la posizione di “giudice di pace”, che si fa raccontare le ragioni dell’uno e dell’altro, per poi valutarle ed emettere un verdetto che possa accontentare (o scontentare) tutti e due. Non è questo il metodo di Francesco.
Egli fa cantare una canzone da lui composta: ricordiamo infatti che il Cantico non era semplicemente un testo poetico, ma una vera e propria canzone, di cui Francesco aveva composto sia il testo che la musica, come testimoniano le antiche fonti (e possiamo solo rammaricarci che la musica, a differenza delle parole, non ci sia stata tramandata!). Una canzone, dunque, per fare pace tra due importanti personaggi: che strano modo di procedere!

Eppure, in questo modo, Francesco ci insegna che per superare i conflitti bisogna sollevare lo sguardo un po’ più in alto, senza continuare ad esaminare soltanto l’oggetto del contendere. Fino a quando continuiamo a riesaminare e riconsiderare le nostre questioni e i nostri litigi, rimarremo impantanati lì e probabilmente non riusciremo a venirne fuori; solo con un colpo d’ala, con uno sguardo che si eleva un po’ più in alto, con una canzone che fa risuonare nel cuore i motivi veri per la pace, sarà possibile riconciliarsi. Francesco insegna che il motivo vero per la pace sta più in alto della semplice risoluzione tecnica dei nostri problemi, perché il motivo vero per fare pace ci rimanda alla bellezza della vita riconciliata, al Bene che possiamo gustare solo in pace con gli altri, alla gioia del rapporto libero e sereno con tutti, e ultimamente, per chi crede in Dio, al cuore stesso del Signore, dal quale soltanto può venire la pace. Francesco lo sapeva bene, ed è per quello che, come egli stesso ci testimonia, il suo saluto era: “Il Signore ti dia pace!” Era il suo saluto,

Di Cesare Vaiani OFM

Francesco e la pace

Un episodio della vita di Francesco ce lo mostra in azione come operatore di pace: si tratta del suo intervento per ristabilire la pace tra il vescovo e il podestà di Assisi, che viene narrato dalla Compilazione di Assisi n. 84, detta anche Legenda Perugina n. 44. Le due maggiori autorità della città erano entrate in un pesante contrasto, e Francesco, che ormai giaceva malato senza potersi muovere “fu preso da pietà per loro, soprattutto perché nessun ecclesiastico o secolare si interessava di ristabilire tra i due la pace e la concordia”. Interessante notare che Francesco si stupisce dell’inerzia dei suoi concittadini: e quanto si stupirebbe di noi, che di fronte a tante guerre e contrasti in atto nel nostro mondo, ai livelli internazionali come a quelli familiari o sociali, ce ne restiamo troppo tranquilli, senza far nulla!

Sentendo dunque l’urgenza di agire, Francesco compone una nuova strofa da aggiungere a quel Cantico di frate sole, che egli aveva da poco composto. Si tratta della strofa che parla del perdono e dell’infermità: quel perdono che i due dovevano offrirsi e quell’infermità che Francesco stava soffrendo in quegli ultimi mesi di vita. Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore e sostengo infirmitate e tribulazione. Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace, ka da te, Altissimo, sirano incoronati.

Subito, Francesco fa chiamare i suoi frati perché invitino presso di lui il podestà e il vescovo e a voci spiegate cantino loro il Cantico, con l’aggiunta della nuova strofa. L’antica narrazione riporta anche le parole di Francesco, nell’invitare i suoi fratelli a fare quell’invito: “Ho fiducia nel Signore che renderà umili i loro cuori, e faranno pace e torneranno all’amicizia e all’affetto di prima”. È la fede nel Signore, che può smuovere anche i cuori più induriti, a guidare Francesco: perché solo dal Signore viene il dono della pace. Conosciamo tutti la conclusione del racconto: i due contendenti si perdonano ed un abbraccio pubblico e sincero suggella la riconciliazione avvenuta.

A partire da questo episodio possiamo fare qualche considerazione sul metodo usato da Francesco per riportare la pace in una situazione di conflitto: la prima cosa che colpisce è che egli non ritiene di doversi occupare delle questioni che opponevano i due. Dal racconto noi non sappiamo nemmeno perché il vescovo e il podestà stavano litigando; possiamo pensare che fossero questioni economiche, o di potere, come spesso capitava, e capita anche oggi. Certamente Francesco non pensa che il suo compito di riconciliatore debba passare attraverso la risoluzione dei motivi di conflitto tra i due e si guarda bene dall’assumere la posizione di “giudice di pace”, che si fa raccontare le ragioni dell’uno e dell’altro, per poi valutarle ed emettere un verdetto che possa accontentare (o scontentare) tutti e due. Non è questo il metodo di Francesco.
Egli fa cantare una canzone da lui composta: ricordiamo infatti che il Cantico non era semplicemente un testo poetico, ma una vera e propria canzone, di cui Francesco aveva composto sia il testo che la musica, come testimoniano le antiche fonti (e possiamo solo rammaricarci che la musica, a differenza delle parole, non ci sia stata tramandata!). Una canzone, dunque, per fare pace tra due importanti personaggi: che strano modo di procedere!

Eppure, in questo modo, Francesco ci insegna che per superare i conflitti bisogna sollevare lo sguardo un po’ più in alto, senza continuare ad esaminare soltanto l’oggetto del contendere. Fino a quando continuiamo a riesaminare e riconsiderare le nostre questioni e i nostri litigi, rimarremo impantanati lì e probabilmente non riusciremo a venirne fuori; solo con un colpo d’ala, con uno sguardo che si eleva un po’ più in alto, con una canzone che fa risuonare nel cuore i motivi veri per la pace, sarà possibile riconciliarsi. Francesco insegna che il motivo vero per la pace sta più in alto della semplice risoluzione tecnica dei nostri problemi, perché il motivo vero per fare pace ci rimanda alla bellezza della vita riconciliata, al Bene che possiamo gustare solo in pace con gli altri, alla gioia del rapporto libero e sereno con tutti, e ultimamente, per chi crede in Dio, al cuore stesso del Signore, dal quale soltanto può venire la pace. Francesco lo sapeva bene, ed è per quello che, come egli stesso ci testimonia, il suo saluto era: “Il Signore ti dia pace!” Era il suo saluto,

Di Cesare Vaiani OFM