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Papa Francesco in Mongolia, tra dialogo tra le fedi e risposta cristiana

Il congedo dalla Mongolia avverrà domani, all’alba in Italia, quando Papa Francesco si recherà prima alla “Casa della Misericordia” per inaugurarla e poi salirà sul volo che lo riporterà in Italia. Ma il saluto al Paese è avvenuto oggi, al termine di una Messa molto partecipata, celebrata in inglese con preghiere dei fedeli in cinese, russo e coreano, dove il piccolo gregge della Chiesa di Mongolia si è riunito insieme a quello dei Paesi vicini o nell’area, dai 40 fedeli portati dal vescovo Chow di Hong Kong, fino ai russi che hanno fatto persino 4 giorni di viaggio solo per essere qui oggi, passando per kazakhi, uzbeki, tajiki. Una porzione di Asia Centrale che mostra la sua anima cattolica. Un’anima diversa per Paesi diversi, eppure simile nella scelta di abbracciare la fede anche quando si è minoranza, tra mille difficoltà, e in Paesi dove spesso la fede viene messa da parte.

È a loro che si rivolge Papa Francesco nel momento dell’omelia, sottolineando che il mondo “ha sete di felicità” e che è proprio “il cristianesimo che può spegnere questa sete”. È un appello forte a preservare la fede in tempi di difficoltà. Non è lontana la Cina, che ha impedito ai fedeli di varcare il confine per partecipare alla Messa. Per questo, c’è un po’ di sorpresa e commozione quando un gruppo di cinesi improvvisamente srotola una loro bandiera davanti al Papa quando questi arriva alla Steppe Arena.

La Cina, in fondo, vuole esercitare un controllo su tutto. Anche sul buddhismo. E così c’era particolare curiosità su quale dei rappresentanti buddhisti sarebbe stato presente all’incontro ecumenico nel centro Hun. C’era Gabu Djemberel Choijamts, dal 1992 a capo del monastero Gandan, il più grande di Mongolia, ma non c’era la reincarnazione del terzo lama più importante per il buddhismo tibetano,  il Khalkha Jetsun Dhampa Rinpoche, la cui decima reincarnazione in un bambino di otto anni è stata riconosciuta dal Dalai Lama lo scorso maggio. Papa Francesco, però, guarda al di là delle questioni politiche. Per lui, già il fatto di essere tutti insieme nella stesso luogo sono il messaggio che “le tradizioni religiose, nella loro originalità e diversità, rappresentano un formidabile potenziale di bene a servizio della società”. E chiede in quest’ora della storia di dare un esempio, di essere fedeli alla propria fede. “Nessuna confusione dunque tra credo e violenza, tra sacralità e imposizione, tra percorso religioso e settarismo”.

Vediamo i due discorsi del Papa nel dettaglio.

Papa Francesco e il dialogo interreligioso

Lo scorso maggio, il Cardinale Giorgio Marengo, al tempo non ancora porporato, portò dal Papa una delegazione di alto livello di monaci buddhisti, per il primo incontro ufficiale tra il Papa e gli esponenti del buddhismo mongolo, che è buddhismo tibetano. A loro, Papa Francesco parlò del comune valore della pace.

In questa occasione, Papa Francesco va oltre, sottolinea che “l’umanità, nel suo anelito religioso, può essere paragonata ad una comunità di viandanti che cammina in terra con lo sguardo rivolto al cielo”, e la Mongolia, la terra del cielo sempre blu, ricorda appunto la necessità di guardare sempre in cielo.

Papa Francesco ricorda che il popolo mongolo vanta “una storia di convivenza tra esponenti di varie tradizioni religiose”, a cominciare dalla “virtuosa esperienza dell’antica capitale imperiale Kharakhorum, al cui interno si trovavano luoghi di culto appartenenti a diversi ‘credo’, a testimonianza di una encomiabile armonia”. Ed armonia per il Papa ha un sapore “tipicamente asiatico”, cui sono chiamati in particolare i credenti, considerando che “ogni vita umana, infatti, e a maggior ragione ogni religione è tenuta a misurarsi in base all’altruismo”, che sia “concreto” e si traduca “nella ricerca dell’altro e nella collaborazione generosa con l’altro, perché “l’uomo saggio si rallegra nel donare, e solo per questo diventa felice”- parole, che tra l’altro il Papa prende da un libro buddhista, “Il percorso di Buddha per la saggezza”, del Dhammapada. Ma Papa Francesco ricorda anche la preghiera ispirata a San Francesco di Assisi, che recita “Dove è odio, ch’io porti amore, dove è offesa, ch’io porti il perdono, dov’è discordia ch’io porti l’unione”. Per il Papa, “armonia è forse il sinonimo più appropriato di bellezza”, mentre “la chiusura, l’imposizione unilaterale, il fondamentalismo e la forzatura ideologica rovinano la fraternità, alimentano tensioni e compromettono la pace”.

Il Papa pesca ancora dalla tradizione delle altre religioni, cita Gandhi dire che la vera bellezza sta nella purezza del cuore, e sottolinea che “le religioni sono chiamate a offrire al mondo questa armonia, che il progresso tecnico da solo non può dare, perché, mirando alla dimensione terrena, orizzontale dell’uomo, rischia di dimenticare il cielo per il quale siamo fatti”. Papa Francesco sottolinea che l’incontro tra tante fedi significa prendere l’impegno “a condividere il tanto bene che abbiamo ricevuto, per arricchire un’umanità che nel suo cammino è spesso disorientata da miopi ricerche di profitto e benessere”.

È una umanità “spesso incapace di trovare il filo”, che “rivolta ai soli interessi terreni, finisce per rovinare la terra stessa, confondendo il progresso con il regresso, come mostrano tante ingiustizie, tanti conflitti, tante devastazioni ambientali, tante persecuzioni, tanto scarto della vita umana”. La Mongolia, in questo senso, ha “un grande patrimonio di sapienza” e dieci caratteristiche di questo “patrimonio sapienziale”: “il buon rapporto con la tradizione, nonostante le tentazioni del consumismo; il rispetto per gli anziani e gli antenati – quanto bisogno abbiamo oggi di un’alleanza generazionale tra loro e i più giovani! –. E poi, la cura per l’ambiente, nostra casa comune, altra necessità tremendamente attuale. E ancora: il valore del silenzio e della vita interiore, antidoto spirituale a tanti malanni del mondo odierno”.

Quindi – continua Papa Francesco – “un sano senso di frugalità; il valore dell’accoglienza; la capacità di resistere all’attaccamento alle cose; la solidarietà, che nasce dalla cultura dei legami tra le persone; l’apprezzamento per la semplicità. E, infine, un certo pragmatismo esistenziale, che tende a ricercare con tenacia il bene del singolo e della comunità”. E ritorna l’immagine della ger, la tenda, che ha caratterizzato il primo giorno di incontri a Ulaanbatar, questa tenda tradizionale dove tuttora vivono molte persone, anche stimati professionisti. Papa Francesco la descrive come “uno spazio umano”, al cui interno “si svolge la vita della famiglia”, ma è anche “un punto di riferimento concreto, facilmente identificabile nelle immense distese del territorio mongolo; è motivo di speranza per chi ha smarrito la strada: se c’è una ger c’è vita”. Queste tende sono “sempre aperte” ad accogliere amico, viandante, straniero, e che hanno accolto i missionari cattolici, arrivati “in punta di piedi in questo mondo culturale, per offrire l’umile testimonianza del Vangelo di Gesù Cristo”.

Non solo spazio umano, le ger evocano l’apertura “essenziale” al divino, data dal punto in alto in cui entra la luce, e fa della ger una grande meridiana, che dimostra come il senso del tempo “giunga dall’alto e non dal mero fluire delle attività terrene”. È così che la parte umana, orizzontale, è sempre rimandata alla sua “vocazione verticale, trascendente, spirituale”, quindi “l’umanità riconciliata e prospera, che come esponenti di diverse religioni contribuiamo a promuovere, è simbolicamente rappresentata da questo stare insieme armonioso e aperto al trascendente, in cui l’impegno per la giustizia e la pace trovano ispirazione e fondamento nel rapporto col divino”. Papa Francesco ammonisce: “la nostra responsabilità è grande, specialmente in quest’ora della storia, perché il nostro comportamento è chiamato a confermare nei fatti gli insegnamenti che professiamo; non può contraddirli, diventando motivo di scandalo. Nessuna confusione, dunque, tra credo e violenza, tra sacralità e imposizione, tra percorso religioso e settarismo”. Il Papa chiede che “la memoria delle sofferenze patite nel passato – penso soprattutto alle comunità buddiste – dia la forza di trasformare le ferite oscure in fonti di luce, l’insipienza della violenza in saggezza di vita, il male che rovina in bene che costruisce”.

Papa Francesco va oltre, e chiede a tutti di parlare del proprio credo, perché “in società pluralistiche e che credono nei valori democratici, come la Mongolia, ogni istituzione religiosa, regolarmente riconosciuta dall’autorità civile, ha il dovere e in primo luogo il diritto di offrire quello che è e quello che crede, nel rispetto della coscienza altrui e avendo come fine il maggior bene di tutti”. Una puntualizzazione precisa, che risente anche di alcune difficoltà che hanno vissuto gli uomini di fede in uno Stato che ha ereditato anche settanta anni di socialismo reale e ateismo.

Papa Francesco conferma che la Chiesa cattolica crede “fermamente nel dialogo ecumenico, interreligioso e culturale” ed ha una fede fondata “sull’eterno dialogo tra Dio e l’umanità, incarnatosi nella persona di Gesù Cristo”, che offre “ad ogni persona e cultura, rimanendo in atteggiamento di apertura e ascolto di quanto le altre tradizioni religiose hanno da offrire”.

“Il dialogo, infatti – chiosa Papa Francesco – non è antitetico all’annuncio: non appiattisce le differenze, ma aiuta a comprenderle, le preserva nella loro originalità e le mette in grado di confrontarsi per un arricchimento franco e reciproco”. Conclude il Papa: “Abbiamo un’origine comune, che conferisce a tutti la stessa dignità, e un cammino condiviso, che non possiamo percorrere se non insieme, dimorando sotto il medesimo cielo che ci avvolge e ci illumina”. E allora siamo chiamati a far sì “che i nostri sforzi comuni per dialogare e costruire un mondo migliore non siano vani”.

L’omelia di Papa Francesco

Nell’omelia del pomeriggio, nella Steppe ArenaPapa Francesco si sofferma su due temi: la sete che ci abita e l’amore che ci disseta. La prima va riconosciuta. Il salmista “grida a Dio la propria arsura perché la sua vita assomiglia a un deserto”, e le sue parole “hanno una risonanza particolare in una terra come la Mongolia: un territorio immenso, ricco di storia e di cultura, ma anche segnato dall’aridità della steppa e del deserto”.

Papa Francesco sottolinea che molti “sono abituati alla bellezza e alla fatica del camminare”, e in effetti – aggiunge – “tutti siamo nomadi di Dio, pellegrini alla ricerca della felicità, viandanti assetati d’amore”. Il deserto è dunque “la nostra vita”, perché “siamo noi quella terra arida che ha sete di un’acqua limpida, un’acqua che disseta in profondità; è il nostro cuore che desidera scoprire il segreto della vera gioia, quella che anche in mezzo alle aridità esistenziali, può accompagnarci e sostenerci”.

Papa Francesco sottolinea che ci portiamo “dentro una sete inestinguibile di felicità”, alla ricerca di un significato, ma soprattutto “di amore, perché è solo l’amore che ci appaga davvero, che ci fa stare bene, che ci apre alla fiducia facendoci gustare la bellezza della vita”. E la fede cristiana “risponde a questa sete, la prende sul serio; non la rimuove, non cerca di placarla con palliativi o surrogati”. Questa sete “apre al Dio vivente, al Dio amore che ci viene incontro per farci figli suoi e fratelli e sorelle tra noi”. Qui entra in gioco “l’amore che disseta”, ovvero “il contenuto della fede cristiana”, perché “Dio, che è amore, nel suo figlio Gesù si è fatto vicino a te, desidera condividere la tua vita, le tue fatiche, i tuoi sogni, la tua sete di felicità”. E se è vero che “a volte ci sentiamo come una terra deserta, arida e senz’acqua”, è “altrettanto vero che Dio si prende cura di noi e ci offre l’acqua limpida e dissetante, l’acqua viva dello Spirito che sgorgando in noi ci rinnova liberandoci dal pericolo della siccità”.

Papa Francesco sottolinea che questa è l’acqua che ci offre Gesù, e richiama a Sant’Agostino, alla sua spiegazione del Signore che disseta nel deserto, parole che richiamano la storia della Mongolia, perché “nei deserti della vita e nella fatica di essere una comunità piccola, il Signore non vi fa mancare l’acqua della sua Parola, specialmente attraverso i predicatori e i missionari che, unti dallo Spirito Santo, ne seminano la bellezza”.

La Parola – aggiunge il Papa – “sempre ci riporta all’essenziale della fede: lasciarsi amare da Dio per fare della nostra vita un’offerta d’amore. Perché solo l’amore ci disseta veramente”. Papa Francesco ricorda che nel Vangelo del giorno, Pietro non accetta che Gesù dovrà attraversare la Passione e la croce, e prova convincere Gesù che si sbaglia, perché il Messia non può finire sconfitto. Gtesù però lo rimprovera perché pensa “secondo il mondo” e non secondo Dio. Chiosa Papa Francesco: “Se pensiamo che a dissetare le arsure della nostra vita bastino il successo, il potere, le cose materiali, questa è una mentalità mondana, che non porta a nulla di buono e, anzi, ci lascia più aridi di prima”. La via indicata da Gesù è quella invece di rinnegare se stesso, perché “chi perdere la propria vita per causa mia, la troverà”.

Allora, dice il Papa, “la via migliore di tutte è questa: abbracciare la croce di Cristo. Al cuore del cristianesimo c’è questa notizia sconvolgente e straordinaria: quando perdi la tua vita, quando la offri con generosità, quando la rischi impegnandola nell’amore, quando ne fai un dono gratuito per gli altri, allora essa ti ritorna in abbondanza, riversa dentro di te una gioia che non passa, una pace del cuore, una forza interiore che ti sostiene”.

Gesù, rimarca Papa Francesco, vuole svelare così alla terra di Mongolia che “non serve essere grandi, ricchi o potenti per essere felici. Solo l’amore ci disseta il cuore, solo l’amore guarisce le nostre ferite, solo l’amore ci dà la vera gioia”. È la via indicata da Gesù a tutti noi, di diventare discepoli e non pensare secondo il mondo, perché così “potremo camminare sulla via dell’amore”, anche quando “amare significa rinnegare sé stessi, lottare contro gli egoismi personali e mondani, correre il rischio di vivere la fraternità”. Perché – conclude Papa Francesco –  se è vero che tutto ciò costa fatica e sacrificio e a volte significa dover salire sulla croce, è ancora più vero che quando perdiamo la vita per il Vangelo, il Signore ce la dona in abbondanza, piena di amore e di gioia, per l’eternità.

Alla fine della Messa, il Papa ringrazia il popolo di Mongolia, dice di aver approcciato il viaggio con molte aspettative e con il desiderio di incontrare il popolo di Mongolia, e invita ad “andare avanti, gentilmente e senza paura, consapevoli della vicinanza e dell’incoraggiamento dell’intera Chiesa”.

Il Papa ha ringraziato anche i vescovi e le delegazioni governative e le altre confessioni religiose, auspicando che si possa continuare a crescere sempre più vicini in fraternità, come “semi di pace in un mondo tragicamente devastato da troppe guerre e conflitti”. Ma prima dei ringraziamenti, dopo aver ricevuto i ringraziamenti e il dono del Cardinale Marengo, chiama a fianco a sé il vescovo Chow di Hong Kong e il Cardinale John Tong Hon, emerito. E ha detto: “Voglio approfittare della loro presenza per inviare un caloroso saluto al nobile popolo di cinese. A tutto il popolo auguro il meglio e andare avanti, progredire sempre. Ai cattolici cinesi chiedo di essere buoni cristiani e buoni cittadini.

Papa Francesco in Mongolia, tra dialogo tra le fedi e risposta cristiana

Il congedo dalla Mongolia avverrà domani, all’alba in Italia, quando Papa Francesco si recherà prima alla “Casa della Misericordia” per inaugurarla e poi salirà sul volo che lo riporterà in Italia. Ma il saluto al Paese è avvenuto oggi, al termine di una Messa molto partecipata, celebrata in inglese con preghiere dei fedeli in cinese, russo e coreano, dove il piccolo gregge della Chiesa di Mongolia si è riunito insieme a quello dei Paesi vicini o nell’area, dai 40 fedeli portati dal vescovo Chow di Hong Kong, fino ai russi che hanno fatto persino 4 giorni di viaggio solo per essere qui oggi, passando per kazakhi, uzbeki, tajiki. Una porzione di Asia Centrale che mostra la sua anima cattolica. Un’anima diversa per Paesi diversi, eppure simile nella scelta di abbracciare la fede anche quando si è minoranza, tra mille difficoltà, e in Paesi dove spesso la fede viene messa da parte.

È a loro che si rivolge Papa Francesco nel momento dell’omelia, sottolineando che il mondo “ha sete di felicità” e che è proprio “il cristianesimo che può spegnere questa sete”. È un appello forte a preservare la fede in tempi di difficoltà. Non è lontana la Cina, che ha impedito ai fedeli di varcare il confine per partecipare alla Messa. Per questo, c’è un po’ di sorpresa e commozione quando un gruppo di cinesi improvvisamente srotola una loro bandiera davanti al Papa quando questi arriva alla Steppe Arena.

La Cina, in fondo, vuole esercitare un controllo su tutto. Anche sul buddhismo. E così c’era particolare curiosità su quale dei rappresentanti buddhisti sarebbe stato presente all’incontro ecumenico nel centro Hun. C’era Gabu Djemberel Choijamts, dal 1992 a capo del monastero Gandan, il più grande di Mongolia, ma non c’era la reincarnazione del terzo lama più importante per il buddhismo tibetano,  il Khalkha Jetsun Dhampa Rinpoche, la cui decima reincarnazione in un bambino di otto anni è stata riconosciuta dal Dalai Lama lo scorso maggio. Papa Francesco, però, guarda al di là delle questioni politiche. Per lui, già il fatto di essere tutti insieme nella stesso luogo sono il messaggio che “le tradizioni religiose, nella loro originalità e diversità, rappresentano un formidabile potenziale di bene a servizio della società”. E chiede in quest’ora della storia di dare un esempio, di essere fedeli alla propria fede. “Nessuna confusione dunque tra credo e violenza, tra sacralità e imposizione, tra percorso religioso e settarismo”.

Vediamo i due discorsi del Papa nel dettaglio.

Papa Francesco e il dialogo interreligioso

Lo scorso maggio, il Cardinale Giorgio Marengo, al tempo non ancora porporato, portò dal Papa una delegazione di alto livello di monaci buddhisti, per il primo incontro ufficiale tra il Papa e gli esponenti del buddhismo mongolo, che è buddhismo tibetano. A loro, Papa Francesco parlò del comune valore della pace.

In questa occasione, Papa Francesco va oltre, sottolinea che “l’umanità, nel suo anelito religioso, può essere paragonata ad una comunità di viandanti che cammina in terra con lo sguardo rivolto al cielo”, e la Mongolia, la terra del cielo sempre blu, ricorda appunto la necessità di guardare sempre in cielo.

Papa Francesco ricorda che il popolo mongolo vanta “una storia di convivenza tra esponenti di varie tradizioni religiose”, a cominciare dalla “virtuosa esperienza dell’antica capitale imperiale Kharakhorum, al cui interno si trovavano luoghi di culto appartenenti a diversi ‘credo’, a testimonianza di una encomiabile armonia”. Ed armonia per il Papa ha un sapore “tipicamente asiatico”, cui sono chiamati in particolare i credenti, considerando che “ogni vita umana, infatti, e a maggior ragione ogni religione è tenuta a misurarsi in base all’altruismo”, che sia “concreto” e si traduca “nella ricerca dell’altro e nella collaborazione generosa con l’altro, perché “l’uomo saggio si rallegra nel donare, e solo per questo diventa felice”- parole, che tra l’altro il Papa prende da un libro buddhista, “Il percorso di Buddha per la saggezza”, del Dhammapada. Ma Papa Francesco ricorda anche la preghiera ispirata a San Francesco di Assisi, che recita “Dove è odio, ch’io porti amore, dove è offesa, ch’io porti il perdono, dov’è discordia ch’io porti l’unione”. Per il Papa, “armonia è forse il sinonimo più appropriato di bellezza”, mentre “la chiusura, l’imposizione unilaterale, il fondamentalismo e la forzatura ideologica rovinano la fraternità, alimentano tensioni e compromettono la pace”.

Il Papa pesca ancora dalla tradizione delle altre religioni, cita Gandhi dire che la vera bellezza sta nella purezza del cuore, e sottolinea che “le religioni sono chiamate a offrire al mondo questa armonia, che il progresso tecnico da solo non può dare, perché, mirando alla dimensione terrena, orizzontale dell’uomo, rischia di dimenticare il cielo per il quale siamo fatti”. Papa Francesco sottolinea che l’incontro tra tante fedi significa prendere l’impegno “a condividere il tanto bene che abbiamo ricevuto, per arricchire un’umanità che nel suo cammino è spesso disorientata da miopi ricerche di profitto e benessere”.

È una umanità “spesso incapace di trovare il filo”, che “rivolta ai soli interessi terreni, finisce per rovinare la terra stessa, confondendo il progresso con il regresso, come mostrano tante ingiustizie, tanti conflitti, tante devastazioni ambientali, tante persecuzioni, tanto scarto della vita umana”. La Mongolia, in questo senso, ha “un grande patrimonio di sapienza” e dieci caratteristiche di questo “patrimonio sapienziale”: “il buon rapporto con la tradizione, nonostante le tentazioni del consumismo; il rispetto per gli anziani e gli antenati – quanto bisogno abbiamo oggi di un’alleanza generazionale tra loro e i più giovani! –. E poi, la cura per l’ambiente, nostra casa comune, altra necessità tremendamente attuale. E ancora: il valore del silenzio e della vita interiore, antidoto spirituale a tanti malanni del mondo odierno”.

Quindi – continua Papa Francesco – “un sano senso di frugalità; il valore dell’accoglienza; la capacità di resistere all’attaccamento alle cose; la solidarietà, che nasce dalla cultura dei legami tra le persone; l’apprezzamento per la semplicità. E, infine, un certo pragmatismo esistenziale, che tende a ricercare con tenacia il bene del singolo e della comunità”. E ritorna l’immagine della ger, la tenda, che ha caratterizzato il primo giorno di incontri a Ulaanbatar, questa tenda tradizionale dove tuttora vivono molte persone, anche stimati professionisti. Papa Francesco la descrive come “uno spazio umano”, al cui interno “si svolge la vita della famiglia”, ma è anche “un punto di riferimento concreto, facilmente identificabile nelle immense distese del territorio mongolo; è motivo di speranza per chi ha smarrito la strada: se c’è una ger c’è vita”. Queste tende sono “sempre aperte” ad accogliere amico, viandante, straniero, e che hanno accolto i missionari cattolici, arrivati “in punta di piedi in questo mondo culturale, per offrire l’umile testimonianza del Vangelo di Gesù Cristo”.

Non solo spazio umano, le ger evocano l’apertura “essenziale” al divino, data dal punto in alto in cui entra la luce, e fa della ger una grande meridiana, che dimostra come il senso del tempo “giunga dall’alto e non dal mero fluire delle attività terrene”. È così che la parte umana, orizzontale, è sempre rimandata alla sua “vocazione verticale, trascendente, spirituale”, quindi “l’umanità riconciliata e prospera, che come esponenti di diverse religioni contribuiamo a promuovere, è simbolicamente rappresentata da questo stare insieme armonioso e aperto al trascendente, in cui l’impegno per la giustizia e la pace trovano ispirazione e fondamento nel rapporto col divino”. Papa Francesco ammonisce: “la nostra responsabilità è grande, specialmente in quest’ora della storia, perché il nostro comportamento è chiamato a confermare nei fatti gli insegnamenti che professiamo; non può contraddirli, diventando motivo di scandalo. Nessuna confusione, dunque, tra credo e violenza, tra sacralità e imposizione, tra percorso religioso e settarismo”. Il Papa chiede che “la memoria delle sofferenze patite nel passato – penso soprattutto alle comunità buddiste – dia la forza di trasformare le ferite oscure in fonti di luce, l’insipienza della violenza in saggezza di vita, il male che rovina in bene che costruisce”.

Papa Francesco va oltre, e chiede a tutti di parlare del proprio credo, perché “in società pluralistiche e che credono nei valori democratici, come la Mongolia, ogni istituzione religiosa, regolarmente riconosciuta dall’autorità civile, ha il dovere e in primo luogo il diritto di offrire quello che è e quello che crede, nel rispetto della coscienza altrui e avendo come fine il maggior bene di tutti”. Una puntualizzazione precisa, che risente anche di alcune difficoltà che hanno vissuto gli uomini di fede in uno Stato che ha ereditato anche settanta anni di socialismo reale e ateismo.

Papa Francesco conferma che la Chiesa cattolica crede “fermamente nel dialogo ecumenico, interreligioso e culturale” ed ha una fede fondata “sull’eterno dialogo tra Dio e l’umanità, incarnatosi nella persona di Gesù Cristo”, che offre “ad ogni persona e cultura, rimanendo in atteggiamento di apertura e ascolto di quanto le altre tradizioni religiose hanno da offrire”.

“Il dialogo, infatti – chiosa Papa Francesco – non è antitetico all’annuncio: non appiattisce le differenze, ma aiuta a comprenderle, le preserva nella loro originalità e le mette in grado di confrontarsi per un arricchimento franco e reciproco”. Conclude il Papa: “Abbiamo un’origine comune, che conferisce a tutti la stessa dignità, e un cammino condiviso, che non possiamo percorrere se non insieme, dimorando sotto il medesimo cielo che ci avvolge e ci illumina”. E allora siamo chiamati a far sì “che i nostri sforzi comuni per dialogare e costruire un mondo migliore non siano vani”.

L’omelia di Papa Francesco

Nell’omelia del pomeriggio, nella Steppe ArenaPapa Francesco si sofferma su due temi: la sete che ci abita e l’amore che ci disseta. La prima va riconosciuta. Il salmista “grida a Dio la propria arsura perché la sua vita assomiglia a un deserto”, e le sue parole “hanno una risonanza particolare in una terra come la Mongolia: un territorio immenso, ricco di storia e di cultura, ma anche segnato dall’aridità della steppa e del deserto”.

Papa Francesco sottolinea che molti “sono abituati alla bellezza e alla fatica del camminare”, e in effetti – aggiunge – “tutti siamo nomadi di Dio, pellegrini alla ricerca della felicità, viandanti assetati d’amore”. Il deserto è dunque “la nostra vita”, perché “siamo noi quella terra arida che ha sete di un’acqua limpida, un’acqua che disseta in profondità; è il nostro cuore che desidera scoprire il segreto della vera gioia, quella che anche in mezzo alle aridità esistenziali, può accompagnarci e sostenerci”.

Papa Francesco sottolinea che ci portiamo “dentro una sete inestinguibile di felicità”, alla ricerca di un significato, ma soprattutto “di amore, perché è solo l’amore che ci appaga davvero, che ci fa stare bene, che ci apre alla fiducia facendoci gustare la bellezza della vita”. E la fede cristiana “risponde a questa sete, la prende sul serio; non la rimuove, non cerca di placarla con palliativi o surrogati”. Questa sete “apre al Dio vivente, al Dio amore che ci viene incontro per farci figli suoi e fratelli e sorelle tra noi”. Qui entra in gioco “l’amore che disseta”, ovvero “il contenuto della fede cristiana”, perché “Dio, che è amore, nel suo figlio Gesù si è fatto vicino a te, desidera condividere la tua vita, le tue fatiche, i tuoi sogni, la tua sete di felicità”. E se è vero che “a volte ci sentiamo come una terra deserta, arida e senz’acqua”, è “altrettanto vero che Dio si prende cura di noi e ci offre l’acqua limpida e dissetante, l’acqua viva dello Spirito che sgorgando in noi ci rinnova liberandoci dal pericolo della siccità”.

Papa Francesco sottolinea che questa è l’acqua che ci offre Gesù, e richiama a Sant’Agostino, alla sua spiegazione del Signore che disseta nel deserto, parole che richiamano la storia della Mongolia, perché “nei deserti della vita e nella fatica di essere una comunità piccola, il Signore non vi fa mancare l’acqua della sua Parola, specialmente attraverso i predicatori e i missionari che, unti dallo Spirito Santo, ne seminano la bellezza”.

La Parola – aggiunge il Papa – “sempre ci riporta all’essenziale della fede: lasciarsi amare da Dio per fare della nostra vita un’offerta d’amore. Perché solo l’amore ci disseta veramente”. Papa Francesco ricorda che nel Vangelo del giorno, Pietro non accetta che Gesù dovrà attraversare la Passione e la croce, e prova convincere Gesù che si sbaglia, perché il Messia non può finire sconfitto. Gtesù però lo rimprovera perché pensa “secondo il mondo” e non secondo Dio. Chiosa Papa Francesco: “Se pensiamo che a dissetare le arsure della nostra vita bastino il successo, il potere, le cose materiali, questa è una mentalità mondana, che non porta a nulla di buono e, anzi, ci lascia più aridi di prima”. La via indicata da Gesù è quella invece di rinnegare se stesso, perché “chi perdere la propria vita per causa mia, la troverà”.

Allora, dice il Papa, “la via migliore di tutte è questa: abbracciare la croce di Cristo. Al cuore del cristianesimo c’è questa notizia sconvolgente e straordinaria: quando perdi la tua vita, quando la offri con generosità, quando la rischi impegnandola nell’amore, quando ne fai un dono gratuito per gli altri, allora essa ti ritorna in abbondanza, riversa dentro di te una gioia che non passa, una pace del cuore, una forza interiore che ti sostiene”.

Gesù, rimarca Papa Francesco, vuole svelare così alla terra di Mongolia che “non serve essere grandi, ricchi o potenti per essere felici. Solo l’amore ci disseta il cuore, solo l’amore guarisce le nostre ferite, solo l’amore ci dà la vera gioia”. È la via indicata da Gesù a tutti noi, di diventare discepoli e non pensare secondo il mondo, perché così “potremo camminare sulla via dell’amore”, anche quando “amare significa rinnegare sé stessi, lottare contro gli egoismi personali e mondani, correre il rischio di vivere la fraternità”. Perché – conclude Papa Francesco –  se è vero che tutto ciò costa fatica e sacrificio e a volte significa dover salire sulla croce, è ancora più vero che quando perdiamo la vita per il Vangelo, il Signore ce la dona in abbondanza, piena di amore e di gioia, per l’eternità.

Alla fine della Messa, il Papa ringrazia il popolo di Mongolia, dice di aver approcciato il viaggio con molte aspettative e con il desiderio di incontrare il popolo di Mongolia, e invita ad “andare avanti, gentilmente e senza paura, consapevoli della vicinanza e dell’incoraggiamento dell’intera Chiesa”.

Il Papa ha ringraziato anche i vescovi e le delegazioni governative e le altre confessioni religiose, auspicando che si possa continuare a crescere sempre più vicini in fraternità, come “semi di pace in un mondo tragicamente devastato da troppe guerre e conflitti”. Ma prima dei ringraziamenti, dopo aver ricevuto i ringraziamenti e il dono del Cardinale Marengo, chiama a fianco a sé il vescovo Chow di Hong Kong e il Cardinale John Tong Hon, emerito. E ha detto: “Voglio approfittare della loro presenza per inviare un caloroso saluto al nobile popolo di cinese. A tutto il popolo auguro il meglio e andare avanti, progredire sempre. Ai cattolici cinesi chiedo di essere buoni cristiani e buoni cittadini.

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