Azione Francescana

Attualità

L’Immacolata Concezione nel pensiero di Duns Scoto

Correva l’anno 1854, l’8 dicembre, quando Pio IX proclamò il dogma dell’Immacolata concezione con la bolla Ineffabilis Deus, che sancisce come la Madonna sia stata preservata dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento. Il secolare e lento processo che ha condotto alla definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione di Maria Vergine va situato nel contesto della fede ecclesiale, che è maturato nella comprensione delle realtà rivelate sotto l’influsso dello Spirito Santo e mediante l’esercizio di alcuni carismi speciali.

Un posto di notevole importanza, in questa progressiva maturazione, spetta all’intuizione del francescano Giovanni Duns Scoto (1266-1308) che ha letto il privilegio mariano in chiave cristologica. In un’unica visione, egli definisce due aspetti: nel primato di Cristo è inclusa anche la redenzione preventiva di Maria Vergine. Per cogliere questo concetto di Duns Scoto, è necessario tenere in considerazione colui che è stato il suo maestro (o che perlomeno ha influenzato il suo pensiero), cioè Alessandrodi Hales e, naturalmente, la scuola di Oxford. Prima di addentrarci nello sviluppo del pensiero di Scoto su tale punto, è necessario soffermarci sul tema della creazione. Secondo la sua ottica, che parte da Col 1, 16, al centro della creazione c’è Cristo per il quale ed in vista del quale tutto è stato creato. Si arriva allora ad una conclusione: se il Padre aveva finalizzato la creazione per il Figlio, l’Incarnazione non poteva essere motivata (occasionata) da nessuna altra volontà se non dalla prima volontà del Padre, che vuole espandere il suo amore su tutte le creature. Da questo emergono evidenti conclusioni: a) se l’Incarnazione fosse subordinata al peccato vorrebbe dire che essa sarebbe stata occasionata da esso; b) questo significa che se l’uomo non avesse peccato (per una buona azione di Adamo), l’Incarnazione non ci sarebbe stata; c) ma sembra irragionevole pensare che Dio ometta un’opera così grande solo per una buona azione di Adamo.

In sintesi e per semplificare ulteriormente: la visione ottimistica della fede parte dal dato che tutta la creazione è stata chiamata ad essere per mezzo di Cristo ed in vista di Cristo; se ciò è vero, dunque, l’Incarnazione non può essere stata resa necessaria dal peccato. Di conseguenza, Cristo, in virtù dell’amore, si sarebbe incarnato anche senza la disgrazia del peccato originale.

L’Immacolata Concezione diviene allora una conseguenza della dottrina della predestinazione; per arrivare ad essa, Scoto parte da Cristo, perfetto mediatore, ed è proprio chiarendo ed approfondendo questo attributo del Cristo, che il dottore sottile getta le fondamenta per quella che sarà la formulazione conclusiva della sua idea, contro chi voleva invece, fondandosi su Rm 5, 12, che la Vergine avesse come tutti “contratto” il peccato originale.

Anche qui, possiamo schematizzare in alcuni punti quello che è il percorso che porterà all’Immacolata Concezione, cioè all’assenza del peccato originale nella Vergine: a) Cristo è il perfettissimo redentore; b) se è perfettissimo redentore, Egli può mediare con un atto perfetto per la persona per la quale media; c) Cristo mediò per eccellenza nei riguardi di Maria preservandola dal peccato attuale e dunque dal peccato originale.

Su questo argomento, l’originalità di Scoto sta proprio nel concetto di “preservazione”. Maria viene salvata come tutto il resto dell’umanità, ma in un modo eccellente, non venne cioè “liberata” dal peccato, ma “preservata”, non contrasse l’infezione del peccato originale in virtù della potenza della redenzione di Cristo che opera prima e dopo la sua venuta. Tutto questo, insieme alla convinzione che Dio non poteva venire ad abitare in una dimora non degna della sua presenza, fa concludere a Scoto che la Vergine, dunque, fu esente da ogni macchia originale.

Per un valido approfondimento sul tema, si veda: S. Cecchin, L’Immacolata Concezione. Breve storia del dogma, PAMI, Roma 2003.

L’Immacolata Concezione nel pensiero di Duns Scoto

Correva l’anno 1854, l’8 dicembre, quando Pio IX proclamò il dogma dell’Immacolata concezione con la bolla Ineffabilis Deus, che sancisce come la Madonna sia stata preservata dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento. Il secolare e lento processo che ha condotto alla definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione di Maria Vergine va situato nel contesto della fede ecclesiale, che è maturato nella comprensione delle realtà rivelate sotto l’influsso dello Spirito Santo e mediante l’esercizio di alcuni carismi speciali.

Un posto di notevole importanza, in questa progressiva maturazione, spetta all’intuizione del francescano Giovanni Duns Scoto (1266-1308) che ha letto il privilegio mariano in chiave cristologica. In un’unica visione, egli definisce due aspetti: nel primato di Cristo è inclusa anche la redenzione preventiva di Maria Vergine. Per cogliere questo concetto di Duns Scoto, è necessario tenere in considerazione colui che è stato il suo maestro (o che perlomeno ha influenzato il suo pensiero), cioè Alessandrodi Hales e, naturalmente, la scuola di Oxford. Prima di addentrarci nello sviluppo del pensiero di Scoto su tale punto, è necessario soffermarci sul tema della creazione. Secondo la sua ottica, che parte da Col 1, 16, al centro della creazione c’è Cristo per il quale ed in vista del quale tutto è stato creato. Si arriva allora ad una conclusione: se il Padre aveva finalizzato la creazione per il Figlio, l’Incarnazione non poteva essere motivata (occasionata) da nessuna altra volontà se non dalla prima volontà del Padre, che vuole espandere il suo amore su tutte le creature. Da questo emergono evidenti conclusioni: a) se l’Incarnazione fosse subordinata al peccato vorrebbe dire che essa sarebbe stata occasionata da esso; b) questo significa che se l’uomo non avesse peccato (per una buona azione di Adamo), l’Incarnazione non ci sarebbe stata; c) ma sembra irragionevole pensare che Dio ometta un’opera così grande solo per una buona azione di Adamo.

In sintesi e per semplificare ulteriormente: la visione ottimistica della fede parte dal dato che tutta la creazione è stata chiamata ad essere per mezzo di Cristo ed in vista di Cristo; se ciò è vero, dunque, l’Incarnazione non può essere stata resa necessaria dal peccato. Di conseguenza, Cristo, in virtù dell’amore, si sarebbe incarnato anche senza la disgrazia del peccato originale.

L’Immacolata Concezione diviene allora una conseguenza della dottrina della predestinazione; per arrivare ad essa, Scoto parte da Cristo, perfetto mediatore, ed è proprio chiarendo ed approfondendo questo attributo del Cristo, che il dottore sottile getta le fondamenta per quella che sarà la formulazione conclusiva della sua idea, contro chi voleva invece, fondandosi su Rm 5, 12, che la Vergine avesse come tutti “contratto” il peccato originale.

Anche qui, possiamo schematizzare in alcuni punti quello che è il percorso che porterà all’Immacolata Concezione, cioè all’assenza del peccato originale nella Vergine: a) Cristo è il perfettissimo redentore; b) se è perfettissimo redentore, Egli può mediare con un atto perfetto per la persona per la quale media; c) Cristo mediò per eccellenza nei riguardi di Maria preservandola dal peccato attuale e dunque dal peccato originale.

Su questo argomento, l’originalità di Scoto sta proprio nel concetto di “preservazione”. Maria viene salvata come tutto il resto dell’umanità, ma in un modo eccellente, non venne cioè “liberata” dal peccato, ma “preservata”, non contrasse l’infezione del peccato originale in virtù della potenza della redenzione di Cristo che opera prima e dopo la sua venuta. Tutto questo, insieme alla convinzione che Dio non poteva venire ad abitare in una dimora non degna della sua presenza, fa concludere a Scoto che la Vergine, dunque, fu esente da ogni macchia originale.

Per un valido approfondimento sul tema, si veda: S. Cecchin, L’Immacolata Concezione. Breve storia del dogma, PAMI, Roma 2003.

Cerca