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Lettera per la Santa Pasqua del Ministro provinciale. Dal “grido” della morte al “canto” della vita

Miei amati fratelli, la Pasqua è ormai alle porte! Quanto è difficile compiere il passaggio dalla morte alla vita, se non ci immergiamo con verità e audacia nel profondo mistero di Gesù che, abbandonandosi al Padre, sussurra ai cuori il modo per superare il grido della sofferenza e della morte con il canto della gioia e della vita.

Il grido umano, nella sua profonda e multiforme espressione, trova un’eco significativa all’interno della Sacra Scrittura e del Magistero della Chiesa, configurandosi come una dimensione esistenziale attraverso cui l’umanità esprime la propria sofferenza e il proprio anelito di liberazione. Nel tessuto narrativo e spirituale della Sacra Scrittura il grido emerge come espressione autentica della condizione di ogni uomo e di ogni donna al cospetto di Dio. Dall’Antico Testamento il grido del popolo di Israele sotto il giogo dell’oppressione in Egitto raggiunge il cielo, provocando l’intervento liberatorio di Dio; tale grido di sofferenza diventa veicolo di una preghiera potente che muove il cuore dell’Altissimo, Onnipotente e bon Signore, evidenziando una relazione viva e dinamica tra l’umanità sofferente e il Dio della storia. Nel Nuovo Testamento, poi, la figura di Gesù Cristo incarna in modo supremo il grido dell’umanità: sulla croce il suo “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46) rivolto al Padre esprime l’apice della sofferenza umana, assunta e redenta nella sua passione e morte. In Gesù ogni grido di dolore trova ascolto, compassione e risposta.

La Chiesa, nel corso dei secoli, ha riflettuto profondamente sul significato del grido umano alla luce del Vangelo, interpretandolo alla luce dei segni dei tempi. Molti documenti magisteriali hanno affrontato temi di ingiustizia sociale, oppressione, povertà, guerra, crisi ambientali, facendo emergere il grido di sofferenza che non può e non deve restare inascoltato, e hanno invitato a una conversione del cuore e a un impegno rinnovato per la giustizia e la pace. La dottrina sociale della Chiesa, in particolare, si erge come un ponte tra la fede e le concrete situazioni di sofferenza, quando invita ogni cristiano a essere sentinella di speranza e agente di carità e trasforma il grido di dolore in opportunità di solidarietà e di incontro.
Il culmine della riflessione sul grido umano si trova nella celebrazione della Pasqua, cuore del mistero cristiano. Essa rappresenta il definitivo passaggio dal grido di sofferenza al canto di gioia e segna il passaggio dalla morte alla resurrezione. In questo mistero pasquale la Chiesa vede la promessa di una trasformazione radicale non solo per l’individuo, ma per l’intera creazione.

Anche il grido di Francesco d’Assisi elevato 800 anni fa sul monte della Verna “Chi se’ tu, o dolcissimo Iddio mio? Che sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo?” (Considerazioni sulle stimmate, 3: FF 1915), rappresenta una profonda espressione del suo sentimento mistico e della sua ricerca interiore. Eppure Francesco, sebbene segnato dolorosamente dalle ferite della passione, non esprime il grido della morte, ma il canto della ricerca della vera vita e offre a ciascuno il desiderio di nuova speranza. Il suo grido/canto di unione a Cristo crocifisso diventa così una testimonianza del passaggio dalla sofferenza all’abbraccio dell’amore redentivo di Dio.

Nella notte di Pasqua il canto di gioia della Chiesa risuonerà nell’Exultet, e proclamerà la vittoria della luce sulle tenebre, della vita sulla morte. Questa prospettiva pasquale offre a tutti, specialmente a chi si trova nel cuore della sofferenza, una speranza concreta e una promessa di rinnovamento. Il grido, espressione di dolore, e il canto, espressione della gioia, ci ricordano che la nostra esperienza umana è profondamente radicata nel mistero della sofferenza e della redenzione. Attraverso il percorso della fede, la Chiesa ci invita a contemplare, in ogni grido di sofferenza, il volto di un Dio che si è lasciato inchiodare sul legno della croce per la nostra salvezza.

Miei amati fratelli, impariamo a compiere il passaggio dalla morte alla vita e indichiamo i mezzi opportuni perché in questo viaggio che dall’oscurità della sofferenza ci conduce alla luce della risurrezione si intraveda sì il filo invisibile che lega insieme il grido della terra e dei poveri, ma si scruti anche l’orizzonte della rinascita. Il grido della sofferenza, infatti, che è al contempo profondo e lacerante, risuoni nelle valli della nostra esistenza, trascenda il tempo e lo spazio e si trasformi in canto di speranza tra le crepe di un mondo infranto, per essere insieme co-creatori di una nuova umanità capace di asciugare le lacrime, di consolare i cuori spezzati e di far risorgere l’aurora.

Santa Pasqua di Risurrezione a tutti! Che ci sia il passaggio dal grido della morte al canto della vita. E che tale passaggio arrivi presto anche per i nostri fratelli e sorelle dell’Ucraina e del Medio Oriente. Alleluia!

Molfetta, 24 marzo 2024, Domenica delle Palme

Lettera per la Santa Pasqua del Ministro provinciale. Dal “grido” della morte al “canto” della vita

Miei amati fratelli, la Pasqua è ormai alle porte! Quanto è difficile compiere il passaggio dalla morte alla vita, se non ci immergiamo con verità e audacia nel profondo mistero di Gesù che, abbandonandosi al Padre, sussurra ai cuori il modo per superare il grido della sofferenza e della morte con il canto della gioia e della vita.

Il grido umano, nella sua profonda e multiforme espressione, trova un’eco significativa all’interno della Sacra Scrittura e del Magistero della Chiesa, configurandosi come una dimensione esistenziale attraverso cui l’umanità esprime la propria sofferenza e il proprio anelito di liberazione. Nel tessuto narrativo e spirituale della Sacra Scrittura il grido emerge come espressione autentica della condizione di ogni uomo e di ogni donna al cospetto di Dio. Dall’Antico Testamento il grido del popolo di Israele sotto il giogo dell’oppressione in Egitto raggiunge il cielo, provocando l’intervento liberatorio di Dio; tale grido di sofferenza diventa veicolo di una preghiera potente che muove il cuore dell’Altissimo, Onnipotente e bon Signore, evidenziando una relazione viva e dinamica tra l’umanità sofferente e il Dio della storia. Nel Nuovo Testamento, poi, la figura di Gesù Cristo incarna in modo supremo il grido dell’umanità: sulla croce il suo “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46) rivolto al Padre esprime l’apice della sofferenza umana, assunta e redenta nella sua passione e morte. In Gesù ogni grido di dolore trova ascolto, compassione e risposta.

La Chiesa, nel corso dei secoli, ha riflettuto profondamente sul significato del grido umano alla luce del Vangelo, interpretandolo alla luce dei segni dei tempi. Molti documenti magisteriali hanno affrontato temi di ingiustizia sociale, oppressione, povertà, guerra, crisi ambientali, facendo emergere il grido di sofferenza che non può e non deve restare inascoltato, e hanno invitato a una conversione del cuore e a un impegno rinnovato per la giustizia e la pace. La dottrina sociale della Chiesa, in particolare, si erge come un ponte tra la fede e le concrete situazioni di sofferenza, quando invita ogni cristiano a essere sentinella di speranza e agente di carità e trasforma il grido di dolore in opportunità di solidarietà e di incontro.
Il culmine della riflessione sul grido umano si trova nella celebrazione della Pasqua, cuore del mistero cristiano. Essa rappresenta il definitivo passaggio dal grido di sofferenza al canto di gioia e segna il passaggio dalla morte alla resurrezione. In questo mistero pasquale la Chiesa vede la promessa di una trasformazione radicale non solo per l’individuo, ma per l’intera creazione.

Anche il grido di Francesco d’Assisi elevato 800 anni fa sul monte della Verna “Chi se’ tu, o dolcissimo Iddio mio? Che sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo?” (Considerazioni sulle stimmate, 3: FF 1915), rappresenta una profonda espressione del suo sentimento mistico e della sua ricerca interiore. Eppure Francesco, sebbene segnato dolorosamente dalle ferite della passione, non esprime il grido della morte, ma il canto della ricerca della vera vita e offre a ciascuno il desiderio di nuova speranza. Il suo grido/canto di unione a Cristo crocifisso diventa così una testimonianza del passaggio dalla sofferenza all’abbraccio dell’amore redentivo di Dio.

Nella notte di Pasqua il canto di gioia della Chiesa risuonerà nell’Exultet, e proclamerà la vittoria della luce sulle tenebre, della vita sulla morte. Questa prospettiva pasquale offre a tutti, specialmente a chi si trova nel cuore della sofferenza, una speranza concreta e una promessa di rinnovamento. Il grido, espressione di dolore, e il canto, espressione della gioia, ci ricordano che la nostra esperienza umana è profondamente radicata nel mistero della sofferenza e della redenzione. Attraverso il percorso della fede, la Chiesa ci invita a contemplare, in ogni grido di sofferenza, il volto di un Dio che si è lasciato inchiodare sul legno della croce per la nostra salvezza.

Miei amati fratelli, impariamo a compiere il passaggio dalla morte alla vita e indichiamo i mezzi opportuni perché in questo viaggio che dall’oscurità della sofferenza ci conduce alla luce della risurrezione si intraveda sì il filo invisibile che lega insieme il grido della terra e dei poveri, ma si scruti anche l’orizzonte della rinascita. Il grido della sofferenza, infatti, che è al contempo profondo e lacerante, risuoni nelle valli della nostra esistenza, trascenda il tempo e lo spazio e si trasformi in canto di speranza tra le crepe di un mondo infranto, per essere insieme co-creatori di una nuova umanità capace di asciugare le lacrime, di consolare i cuori spezzati e di far risorgere l’aurora.

Santa Pasqua di Risurrezione a tutti! Che ci sia il passaggio dal grido della morte al canto della vita. E che tale passaggio arrivi presto anche per i nostri fratelli e sorelle dell’Ucraina e del Medio Oriente. Alleluia!

Molfetta, 24 marzo 2024, Domenica delle Palme

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