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“È già il mattino di Pasqua…”. Fra Guarino Valentino a servizio dell’Opsedale pediatrico Giovanni XXIII

Mi è stato richiesto di comunicarvi alcune battute su un servizio pastorale che è ai suoi primissimi passi, dai connotati decisamente insoliti. Confidenzialmente ho desistito all’inizio, per la sola inadeguatezza ma poi mi sono arreso e ho pensato di offrirvi delle iniziali suggestioni su questa frontiera di prossimità.

Nei primi giorni di questo mese di Marzo che volge al suo termine sono stato raggiunto dall’obbedienza del Ministro provinciale di servire la comunità diocesana di Bari-Bitonto nel ministero di assistente religioso (cappellano) dell’Ospedale Pediatrico “Giovanni XXIII” di Bari.

Confesso lo stupore della designazione ma non posso nascondere l’arduo spessore richiestomi nell’esercizio fattivo di tale servizio. Così ripreso fiato, successivamente mi sono recato presso la struttura sanitaria presentandomi alla dirigenza e con il placet ricevuto ho iniziato a visitare i vari reparti del presidio ospedaliero. Peregrinando nei vari ambienti clinici sono stato raggiunto fin da subito dall’accoglienza del personale, pronto e solerte ad intervenire al letto del “piccolo malato” premurosamente coccolato e sorvegliato dal genitore. Quel “piccolo paziente” (dai primi mesi di vita o adolescente) che si è dimostrato quasi sempre non cosciente del suo reale stato di salute ma negli occhi dei “grandi” ho raccolto e constatato la durezza della sofferenza, quale portatrice della fatica di accettazione della malattia in alcuni casi, intrisa di una flebile speranza.

Tuttavia, in questo contesto ho riscontrato che i diversi funzionari senza escludere alcuna persona nel suo servizio e ruolo istituzionale sono concentrati e assorbiti nella loro professionalità e competenza a porsi dinanzi alla persona che è posta sempre “in mezzo” ad ogni colloquio: il bambino o/e adolescente. Una persona che risiede temporaneamente perché accidentato da qualche problema fisico ma richiedente costantemente a quanti sono designati per il proprio lavoro solo ed esclusivamente aver cura.  

Allora mi sono chiesto: come esserci per prendersi cura?  Esserci è già un inizio di cura. Esserci come ministro di Dio per denunciare che il buio della malattia è circoscritto ad un frammento di tempo “da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio”. Una presenza che deve annunciare la speranza compiuta già in Cristo Gesù, Colui che “non ci salva in virtù della sua onnipotenza ma della sua impotenza” come ha affermato Bonhoeffer. Esserci come ministro nella comune umanità per abitare il tempo della prova, del dubbio sulle domande di senso, il grido muto e assordante della fragilità.

In questa settimana, ho avuto modo di sostare con discrezione al letto del “piccolo paziente”. Che fai? Cosa dici? La richiesta del nome è dire che esisti, che non sei solo e “noi” siamo qui per te.

È porgere una carezza sulla guancia accompagnata da un sorriso e qualche battuta di humor per i genitori, è infine tracciare un segno di croce sulla fronte. Mi è capitato di sollecitare e incoraggiare ad una fiducia orante per chi crede in Dio.  Come anche nel rispetto di chi non crede in Dio o appartenente ad altre fedi, rincuora offrire un augurio semplice di guarigione.

E poi, in questo giorno particolarmente significativo – Giovedì Santo – terminata la Messa crismale sei chiamato per amministrare il sacramento del Battesimo ad un bambino di due mesi che dovrà affrontare un delicato intervento chirurgico. Ti stupisci e immeritatamente capisci ancora che nell’espletamento del ministero quanto hai ricevuto dal Padre per mezzo della Chiesa, cioè la consegna posta nelle mani è solo un dono da trasmettere, da generare. Ed è il Risorto che infonde solo grazia e immerge nella sua vita ciascuno dei presenti: è già il mattino di Pasqua.

“È già il mattino di Pasqua…”. Fra Guarino Valentino a servizio dell’Opsedale pediatrico Giovanni XXIII

Mi è stato richiesto di comunicarvi alcune battute su un servizio pastorale che è ai suoi primissimi passi, dai connotati decisamente insoliti. Confidenzialmente ho desistito all’inizio, per la sola inadeguatezza ma poi mi sono arreso e ho pensato di offrirvi delle iniziali suggestioni su questa frontiera di prossimità.

Nei primi giorni di questo mese di Marzo che volge al suo termine sono stato raggiunto dall’obbedienza del Ministro provinciale di servire la comunità diocesana di Bari-Bitonto nel ministero di assistente religioso (cappellano) dell’Ospedale Pediatrico “Giovanni XXIII” di Bari.

Confesso lo stupore della designazione ma non posso nascondere l’arduo spessore richiestomi nell’esercizio fattivo di tale servizio. Così ripreso fiato, successivamente mi sono recato presso la struttura sanitaria presentandomi alla dirigenza e con il placet ricevuto ho iniziato a visitare i vari reparti del presidio ospedaliero. Peregrinando nei vari ambienti clinici sono stato raggiunto fin da subito dall’accoglienza del personale, pronto e solerte ad intervenire al letto del “piccolo malato” premurosamente coccolato e sorvegliato dal genitore. Quel “piccolo paziente” (dai primi mesi di vita o adolescente) che si è dimostrato quasi sempre non cosciente del suo reale stato di salute ma negli occhi dei “grandi” ho raccolto e constatato la durezza della sofferenza, quale portatrice della fatica di accettazione della malattia in alcuni casi, intrisa di una flebile speranza.

Tuttavia, in questo contesto ho riscontrato che i diversi funzionari senza escludere alcuna persona nel suo servizio e ruolo istituzionale sono concentrati e assorbiti nella loro professionalità e competenza a porsi dinanzi alla persona che è posta sempre “in mezzo” ad ogni colloquio: il bambino o/e adolescente. Una persona che risiede temporaneamente perché accidentato da qualche problema fisico ma richiedente costantemente a quanti sono designati per il proprio lavoro solo ed esclusivamente aver cura.  

Allora mi sono chiesto: come esserci per prendersi cura?  Esserci è già un inizio di cura. Esserci come ministro di Dio per denunciare che il buio della malattia è circoscritto ad un frammento di tempo “da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio”. Una presenza che deve annunciare la speranza compiuta già in Cristo Gesù, Colui che “non ci salva in virtù della sua onnipotenza ma della sua impotenza” come ha affermato Bonhoeffer. Esserci come ministro nella comune umanità per abitare il tempo della prova, del dubbio sulle domande di senso, il grido muto e assordante della fragilità.

In questa settimana, ho avuto modo di sostare con discrezione al letto del “piccolo paziente”. Che fai? Cosa dici? La richiesta del nome è dire che esisti, che non sei solo e “noi” siamo qui per te.

È porgere una carezza sulla guancia accompagnata da un sorriso e qualche battuta di humor per i genitori, è infine tracciare un segno di croce sulla fronte. Mi è capitato di sollecitare e incoraggiare ad una fiducia orante per chi crede in Dio.  Come anche nel rispetto di chi non crede in Dio o appartenente ad altre fedi, rincuora offrire un augurio semplice di guarigione.

E poi, in questo giorno particolarmente significativo – Giovedì Santo – terminata la Messa crismale sei chiamato per amministrare il sacramento del Battesimo ad un bambino di due mesi che dovrà affrontare un delicato intervento chirurgico. Ti stupisci e immeritatamente capisci ancora che nell’espletamento del ministero quanto hai ricevuto dal Padre per mezzo della Chiesa, cioè la consegna posta nelle mani è solo un dono da trasmettere, da generare. Ed è il Risorto che infonde solo grazia e immerge nella sua vita ciascuno dei presenti: è già il mattino di Pasqua.

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